Pino d’Albenza

Pino d’Albenza

“C’era tutto il paese ad aspettarmi davanti alla chiesa di Albenza, quando, sopravvissuto alla Ritirata, riuscii a tornare. Fra loro mogli, morose, figli, genitori, amici dei tanti compaesani che non sarebbero mai più tornati. Come potevo descrivergli quell’inferno? Dissi loro solamente: ‘ Per quello che hanno affrontato laggiù, gli Alpini andrebbero posti sugli altari.’ ”

“Partii per la Russia, Alpino, come mio fratello e due nostri cugini, fratelli fra loro. In Ritirata si marciava anche per 20 ore al giorno e quando ci si fermava la stanchezza era enorme, ma c’era il rischio di essere ucciso o catturato dai Sovietici proprio durante il sonno.
Per questo io dormivo sempre in piedi, appoggiato alle pareti dell’isba: quando crollavo al suolo mi svegliavo e riprendevo la marcia. Erano giorni in cui il cuore doveva farsi di sasso per sopravvivere…
Questo mi ha salvato la vita.
Ma mio fratello ed uno quei miei due cugini sparirono per sempre lassù.”